Sono nella sala d’attesa di un notaio.
Certo che è così fredda, seria, impostata.
Mi mette a disagio e sono pure arrivato in anticipo.
Che ci faccio qui? Ah niente di che, sono solo arrivato al punto di svolta della mia vita.
Da piccolo volevo costruire aerei.
Erano la mia grande passione. Il mondo delle auto, gli pneumatici, erano l’ultimo dei miei interessi lo ammetto. Sapevo dell’azienda, fondata da mio nonno nel 1950, sapevo che ora ci lavorava mio padre. Ma sapevo anche che portava via gran parte del suo tempo e non mi piaceva. Al contrario mio fratello la adorava. Ha sette anni meno di me. Ha sempre amato la Cammi Gomme, quando poteva si faceva portare lì e ammirava l’officina. Una volta adolescente andava persino a cambiare le gomme, a dare una mano. Io mai. Passato il mito degli aerei avevo concentrato il mio interesse sulle scienze alimentari. Producevo lieviti per birre artigianali e intanto mi laureavo in scienze e tecnologie alimentari. Arrivai a realizzare un grande desiderio: uno stage in Barilla, in ricerca e sviluppo. La mia giornata era costellata di “buongiorno dottore buonasera dottore” e mi ero trasferito a Parma.
Tutto procedette tranquillamente finché arrivó il momento di rinnovare il tirocinio e ricevetti dei consigli inaspettati.
Due manager importanti e con l’età di chi la sa lunga, mi fecero una domanda che non dimenticherò mai.
“ sei sicuro di voler rimanere qui a fare il dipendente e di non voler portare avanti l’azienda di famiglia con le tue mani, potendo lavorare su qualcosa di tuo? qui, per quanto tu possa essere bravo, non sarai mai nessuno.”
Mi colpirono quelle parole. Non sapevo cosa rispondere. Ci rimuginai per giorni.
Non ero convinto per niente di fare il gommista. Si, era l’attività di famiglia ma io avevo studiato, avevo intrapreso un percorso preciso. E poi non sapevo nulla di auto ne tantomeno di gestire un’azienda.
Ho avuto paura.
Alla fine fu la loro grande saggezza unita alla mia grande ambizione a farmi decidere.
Non rinnovai con Barilla.
Mi ritrovai il giorno dopo catapultato in un mondo lontanissimo da me.
Clienti che parlano in dialetto piacentino, gente che mi guarda male, mi squadra per poi decidere che non ne capisco niente e sono l’ultimo arrivato.
Nessuno mi chiama più dottore.
Non conto più niente.
Avrò fatto la scelta sbagliata?
Il mio ego aveva bisogno di una spinta per sopravvivere e partire col piede giusto per 5 anni di apprendistato. Dovevo imparare tutto, partendo dal basso. Ma con una spinta forte, che potevo inventarmi?
Così decisi di liberarmi della mia polverosa e vecchia utilitaria e comprare un’auto sportiva.
La vedi ancora oggi, al suo posto riservato nel cortile dell’azienda. È stata ed è ancora al mio fianco, tutti i giorni. Grazie a lei inizio ad andare a correre in pista, a Varano. Inizio a studiare. Faccio corsi di pilotaggio, vinco premi, studio la meccanica. Mi appassiono veramente.
Da qui è partito il mio percorso di formazione che mi ha portato a volermi distaccare da quella figura di gommista che mi veniva appiccicata tutti i giorni. Quello che si sarà anche bravo a cambiare le gomme, ma non è una persona competente, probabilmente è sgarbato, sporco, circondato da un ambiente altrettanto sporco da cui voglio andar via prima possibile. Io volevo essere di più. Per questo ho dedicato gli ultimi dieci anni alla creazione di un team affiatato e competente, di un ambiente di design, accogliente, pulito e luminoso. Ho fatto sacrifici ed investimenti per avere i macchinari più tecnologicamente avanzati. Ma soprattutto ho studiato un metodo di lavoro, il metodo Cammi Gomme, che mi permettesse di svolgere un lavoro completo, a regola d’arte, per garantire la sicurezza delle auto dei miei clienti. Non volevo solo montare e smontare gomme. Volevo essere un punto di riferimento in caso di problemi, volevo garantire ai miei clienti un’auto performante, come nuova ogni volta.
Mi sono ritrovato due soci contro. Contro gli investimenti, contro il cambiamento. Il problema? Non avevo il controllo dell’azienda, anche se mi prendevo io i rischi e facevo sacrifici, ero comunque socio di minoranza. Combattevo contro “ma abbiamo sempre fatto così e siamo ancora aperti” e “siamo gommisti mica imprenditori”.
Questo era il 2015. Mi trovavo con i due soci contro, che mi mettevano in minoranza, e con una crisi economica che ci portó, ad agosto, a faticare a pagare gli stipendi. Ero come imprigionato. Avevo idee e iniziative da prendere. Ma ero in minoranza. Ero solo. È il fatturato calava di mese in mese. Complice un commercialista poco competente tutti sembrarono cadere dalle nuvole.
Che ci faccio ora da un notaio con le mani sudate e l’ansia del primo giorno di scuola?
Acquisisco finalmente la maggioranza. Mi costa tanto. Denaro, discussioni, riunioni inutili.
Arriva la segretaria a farmi un cenno. Ti saluto.
Vado a prendermi quello che mi spetta.
Ah una curiosità: ora mio fratello è pilota di aerei.
E io dirigo l’azienda. Strana la vita
La storia della Cammi Gomme parte molto prima però …
La vocazione agricola era forte all’epoca e così la nostra provincia era fortemente in espansione riguardo alla meccanizzazione della cura dei campi. C’era vitalità, ristrettezza e passione nel cercare di aiutare il prossimo nella prima industrializzazione del settore agricolo piacentino.
Con l’arrivo degli anni novanta l’azienda iniziò sempre più a svolgere anche funzioni di ingrosso e distribuzione pneumatici nella provincia , intenzionata a supportare le piccole realtà provinciali che si affidavano a soluzioni su gomma.
Forte era l’intenzione di seguire con competenza l’evoluzione del mondo del pneumatico, andando a servire l’esplosione dell’edilizia e quindi la conseguente necessità sempre più pressante di pneumatici per il movimento terra (bulldozer, ruspe, dumper).
Siamo stati fornitori di pneumatici movimento terra del boom edilizio di Dubai, di alcune miniere in Africa e degli oleodotti sovraintesi da Eni in nigeria. Abbiamo servito partner nel mediterraneo così come enormi colossi come la Fantuzzi Reggiane e numerosi porti del nord italia.